Disfida del Malpensa

Secoli e secoli fa un cavaliere solitario, o un rude montanaro (la storia non può essere infallibile), salvò il sud Italia dall’invasione e dal saccheggio dell’esercito di Enrico VI, figlio dell’imperatore Federico I detto “il Barbarossa”… cosi inizia la nostra storia …

La vicenda, con tutti i suoi luoghi, i suoi personaggi e le sue leggende è nota come “La disfida del Malpensa”.

 

I luoghi

Siamo sulle colline del basso Lazio, nella provincia di Frosinone, ad una ottantina di chilometri da Roma ed a circa centosessanta chilometri da Napoli, in piena campagna ciociara.

Le vicende tramandate coinvolgono i piccoli centri abitati di Guarcino, un paesino di poco più di 1700 abitanti, circondato dalle montagne che fanno di esso una cornice paesaggistica suggestiva, Alatri, cittadina di oltre 20000 abitanti nota per il suo imponente perimetro di mura pelasgiche (o ciclopiche, perché erette, secondo Euripide, proprio dai ciclopi) e Fumone, paese di poco più di 2000 abitanti che fu una vedetta fondamentale nel medioevo per la città di Roma e per tutta la campagna circostante: “si Fumo fumat, tota campania tremat” (se Fumone fuma, tutta la campagna trema) si usava dire,“si Fumo fumat, tota campania tremat”…

 I personaggi principali

Il protagonista principale, tale 

Malpensa Guttifredi, era, molto probabilmente, un milite del ramo guarcinese della famiglia Guttifredi, radicata in Alatri.

Il “molto probabilmente” è doveroso, in quanto si è dibattuto per anni sulla possibilità che il Malpensa potesse essere un semplice montanaro di umili origini con una forza ed un’attitudine al combattimento superiore alla media.

L’antagonista (che poi tale non sarà, come vedremo in seguito), è EnricoVIHohenstaufen, figlio di FedericoIBarbarossa e marito di Costanza d’Altavilla, ultima discendente legittima della dinastia normanna, nonché erede del Regno di Sicilia.

Tra di loro si pone la figura di Urbano III, 172° pontefice della chiesa cattolica, che non accettò mai le nozze tra i due, in quanto prive di un accordo con la Sede Apostolica che, a tutti gli effetti, controllava i territori del centro e del sud Italia.

La situazione storica

Correva l’anno 1186, l’esito della battaglia di Legnano e gli accordi firmati in quel di Costanzaavevano portato ad una situazione di sostanziale equilibrio tra l’impero ed i nascenti comuni italiani:

L’imperatore riconosceva loro un elevato livello di autonomia e i comuni accettavano la presenza degli invasori stranieri sul loro territorio.

La convivenza, tuttavia, venne messa in crisi dalle mire espansionistiche dell’imperatore stesso che, volendo agevolare l’annessione del Regno di Sicilia, favorì le nozze di suo figlio Enrico VI, Re d’Italia, con Costanza d’Altavilla, figlia di Re Ruggero II di Sicilia e della sua terza moglie, Beatrice di Rethel, e futura erede del Regno di Sicilia.

Tale scelta incontrò l’ostracismo della Santa Sede che vantava l’alta sovranità su tutta l’isola e sui possedimenti del sud della penisola.

Il rifiuto di Urbano III spinse Federico I a consegnare un esercito nelle mani del figlio Enrico VI chiedendogli di invadere il Regno di Sicilia e prendersi l’ultima parte d’Italia che mancava all’impero.

La vicenda

L’esercito di Enrico VI dilagò nell’entroterra ciociaro e mise a ferro e fuoco castelli fortificati e piccole rocche.

Caderono PofiMontelongo e Boville Ernica, ma resistettero le fortificazioni di Fumone e di Alatri, ed è proprio in quest’ultimo scenario che si consumarono le vicende che cambiarono le sorti della guerra e che portarono l’esercito teutonico dritto nella bocca del “leone”.

Alatri

L’esercito alatrense, in netta inferiorità numerica rispetto alle armate di Enrico VI si asserragliò dietro le possenti mura ciclopiche dell’acropoli resistendo ad un assedio che durò circa 9 giorni.

I documenti parlano di diversi eventi, tra cronaca e leggenda, che portarono Enrico VI alla scelta di abbandonare, improvvisamente, l’assedio e cambiare strada per la sua avanzata.

Le leggende raccontano di una apparizione notturna di San Sisto (7° Vescovo di Roma e santo venerato dalla città ciociara, che ne detiene circa il 50% delle sue reliquie corporali, in equa condivisione con la cittadina di Alife, in provincia di Caserta) all’esercito germanico, che ne terrorizzò le coorti fino al punto di obbligarle a togliere l’assedio.

Un altro resoconto, in bilico tra leggenda e cronaca, vede coinvolta una donna che disse diaver ricevuto dallo stesso San Sisto una rivelazione in sogno, un piano per far si che gli assedianti potessero arrivare a considerare poco conveniente la persistenza dell’assedio.

Il piano prevedeva che tutte le truppe assediate ed insediate dietro le mura sfilassero da una porta d’ingresso della fortificazione all’altra cambiandosi ogni volta d’abito, facendo così credere ad Enrico VI ed al suo esercito che fossero arrivati, dai vicini comuni non ancora sotto il giogo degli invasori, validi e numerosi rinforzi.

Questo tipo di operazione venne ripetuta per ben nove volte.

A quel punto, convinto anche dallo scoramento delle sue truppe, Enrico VI decise di togliere l’assedio e di cambiare direzione nella sua avanzata per la conquista del Regno di Sicilia.

Il prossimo obiettivo era Guarcino…

L’arrivo nella
campagna guarcinese

Forse, un ulteriore e più che giustificabile motivo che spinse Enrico VI a spostare le proprie armate da Alatri verso Guarcino è da ricercare nel fatto che i comuni di Anticoli (l’odierna Fiuggi), Collepardo (un borgo della campagna Alatrese), ViconelLazio e Guarcino, spaventati dalla vicinanza dell’invasore, si erano coalizzati in una lega, radunandosi, impavidi, sotto le mura antistanti il centro abitato di Guarcino.

Enrico, piuttosto che rimanere chiuso nella tenaglia dell’assedio, con le mura alatresi da una parte e gli uomini della lega dall’altra iniziò un difficoltoso cammino da Alatri a Guarcino durante il quale subì una lunga serie di imboscate, da parte degli uomini del patto dei comuni, che misero a dura prova l’avanguardia e la retroguardia della sua colonna di uomini.

Una volta arrivato nella campagna guarcinese, il figlio del barbarossa si trovò a ragionare su diversi, ipotetici, scenari: la battaglia faccia a faccia fu la prima ipotesi che il Re scartò, l’assedio fu la seconda ipotesi ad essere scartata, dopo il probante trasferimento dei suoi uomini da Alatri a Guarcino.

In ultimo fu scartata anche l’ipotesi della ritirata, che si sarebbe trasformata in una condanna a morte certa per tutto l’esercito e per il Re stesso.

Rimaneva, tuttavia, un’ultima, incerta, via d’uscita per l’invasore: la disfida.

Non si conosce con certezza chi, tra i due schieramenti in campo, arrivò a proporre l’idea di affidare le sorti della battaglia alla singolar tenzone, ma si sa con certezza che a proporre la via di uscita del patteggiamento fu Enrico VI.

Se avesse vinto avrebbe avuto la concessione di proseguire il sentiero che portava verso Napoli, se avesse perso avrebbe ritirato l’esercito a nord di Roma.

L’accordo, arrivati a quel punto dello scontro, era valido e vantaggioso per entrambi gli schieramenti.

I comuni coalizzati non volevano tirare la corda e costringere gli invasori a forzare la mano in preda all’esasperazione di una situazione di estremo equilibrio e gli invasori non vedevano di buon occhio l’idea di un possibile saccheggio o dell’ennesimo assedio

L’Acuto del Leone

Sulla pianura che si inchina alle alte vette dei Monti Ernici, nella cornice degli immobili schieramenti, in campo aperto, ecco muovere al centro della scena i campioni abili per la disfida.

Lo sconosciuto guerriero teutonico (il cui nome non risulta su alcun documento tramandato, che sia orale o scritto), avanzando, calzò la stretta correggia del suo scudo triangolare per mostrare allo sfidante il simbolo dei tre leoni neri in campo dorato degli Hohenstaufen, la famiglia di Enrico VI.

Mentre dall’altro versante avanzava Malpensa Guttifredicon il riflesso del sole che accendeva il leone lampassato a scacchi nero e oro in campo rosso, simbolo della famigliadei Guttifredi.

La mole enorme, quanto la loro potente aura, sembrava amplificare le vergate delle spade sugli scudi e gli incroci delle lame nella rabbiosa tenzone; le due figure, in rappresentanza di interi eserciti, come il rombo della cavalleria al galoppo, non si risparmiavano nei colpi accompagnando ogni violento attacco con il tono vibrante della voce.

Tra le pieghe e le difese a scudo alto ecco che la lama del Guttifredi spinse, con la forza delle migliaia di braccia dei suoi alleati, il guerriero del Sacro Romano Impero fino a piegarlo sulle ginocchia.

Indebolito e provato dalla stanchezza, il campione di Enrico VI, non trovò lo scatto per tornare a fronteggiare il Malpensa che, spalle al sole, con l’ombra gigantesca del suo corpo a coprire e oscurare l’intero schieramento imperiale, trovò lo spazio tra gli interstizi delle placche dell’armatura e puntò la sua lama attraverso stoffa, cotta di maglia, pelle e carne fino a farla riaffiorare, rossa di vittoria, dall’altra parte.

La lega portò in trionfo il Malpensa mentre, sullo sfondo, si vedeva scomparire l’ultimo uomo della retroguardia di Enrico VI che rinunciò ai suoi propositi di conquista e ripercorse la strada dalla quale era venuto, senza il suo regno ma con la vita salva.

Chi conosce un pochino la storia sa che gli è andata di gran lusso.

NdItomi: Viva la Lega! :res:

Ai posteri

L’epica tenzone non poteva di certo non essere celebrata e, in occasione dell’ottavo centenario dalla disfida (nel 1986) fu lavorata una statua in bronzo, a grandezza naturale, che rappresenta un momento della disfida.

La statua, lavorata dal famoso architetto, scultore e scenografo, Angelo Canevari, fa bellamostra di sé nella piazza antistante il municipio di Guarcino.